
Il referendum CGIL dell’8 e 9 giugno è un frutto senza albero.
Che il Renzi Act sia da abolire nei secoli dei secoli è assodato, e poi?
Per difendere davvero i lavoratori urge restituire gli strumenti necessari al Paese per ricomporre l’ossatura del sistema imprenditoriale, principalmente composto da piccole e medie imprese.
Per esigere dai datori di lavoro il rispetto dei lavoratori – dalle garanzie su contratti e retribuzione dignitosi, fino alla tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – è necessaria un’azione radicale e risolutiva. Per riassumere: politica industriale che studi una strategia a misura dei nostri punti di forza; riduzione della pressione fiscale; valorizzazione delle competenze; investimenti pubblici su formazione continua ed adeguamento. Insomma, uscire dalle logiche euro perché torni ad esserci una sovranità monetaria che ci permetta di agire nel senso della crescita e della distribuzione del benessere, con il criterio “moneta proprietà dello Stato”. Ritrovare quella competitività che ci faceva quarti al mondo. Naturalmente dopo aver epurato dalle istituzioni tutti gli arrivisti, i politicanti e gli affaristi di casta.
Tutto ciò non può passare da un referendum abrogativo che ci riporti indietro di qualche anno. La soluzione è davanti a noi, non dietro!
Se solo la CGIL avesse impiegato le stesse energie per un referendum appena un poco più lungimirante…
E poi, qualcuno mi spieghi che ruolo ha il quesito sull’ottenimento della cittadinanza. E’ un’ennesima strumentalizzazione dell’argomento per sperare nel raggiungimento del quorum? Oppure, dato che il tema principale della consultazione è il lavoro, l’accoglienza è il nuovo modo di chiamare la crisi demografica e la fuga dei cervelli?
Volete voi un caschetto in testa per quando i coloni useranno il bastone, dopo aver comprato tutto il comprabile?
“Ed è così che la nostra coscienza
ci fa vili; è così che si scolora
al pallido riflesso del pensiero
il nativo colore del coraggio,
ed alte imprese e di grande momento,
a cagione di questo, si disviano
e perdono anche il nome dell’azione.”
Dall’ “Amleto” di W. Shakespeare