LA CULTURA DEL RICATTO - Anna Lisa Maugeri intervista Marcello Foa

Pubblicato il 11 settembre 2025 alle ore 20:19

UN FENOMENO PERVASIVO E TRASVERSALE ANCHE IN DEMOCRAZIA

Foto di Alex Yomare da Pixabay

A.L.M.: “La società del ricatto” è il titolo del tuo ultimo libro. Cosa ti ha spinto ad affrontare questo argomento e ad approfondirlo in questo nuovo saggio?

Marcello Foa: Io sono giornalista, mi occupo da tanto tempo di politica internazionale e ho visto la degenerazione sia del confronto pubblico con il character assassination, sia analizzando con disincanto le vere logiche e i metodi di gestione del potere, anche a livello internazionale. Ho preso coscienza, mettendo assieme i vari punti, del fatto che c'era il ricorso frequente, e secondo me scorretto e inaccettabile, al virus del ricatto. 

Parlando con amici di diversa estrazione professionale, imprenditori, avvocati, docenti universitari, dirigenti d'azienda, mi sono reso conto che molti sottostavano o subivano dei ricatti e questo generava un malessere profondo. Un ricatto può essere anche il cosiddetto ricatto d'ambiente. Non c'entra l'ecologia ma c'entra con quelle linee rosse che in ogni professione nessuno deve superare se non vuole essere buttato fuori. Se lo fa, nel migliore dei casi può essere emarginato, nel peggiore dei casi si rischia di essere estromesso.

 

Fra i mali peggiori che affliggono la società odierna, ce n’è uno al quale spesso siamo talmente assuefatti da sottovalutarne la pervasività e i rischi derivanti.

Parliamo del ricatto, un virus che si insinua nei diversi ambiti della società in maniera subdola e trasversale, un vero e proprio strumento di controllo e persuasione che non sempre siamo in grado di riconoscere e contrastare con determinazione.

 

Marcello Foa, giornalista, saggista, docente universitario e conduttore del programma radiofonico Giù la Maschera su Rai Radio 1, affronta l’argomento con grande onestà intellettuale nel suo ultimo libro dal titolo “La società del ricatto. E come difendersi”, pubblicato da Guerrini e Associati.

 

A.L.M: A proposito di “linee rosse da non superare”, nel tuo libro parli anche di Gaza e del conflitto in corso. Molti politici e giornalisti non riescono a raccontare obiettivamente quello che sta accadendo al popolo palestinese, fanno veramente fatica a condannare fermamente Netanyahu. Come giudichi questa tendenza? Possiamo considerarla un effetto della cultura del ricatto?

 

Marcello Foa: Assolutamente sì. Rientra nel cosiddetto framing. C'è un frame molto forte su Israele per cui se tu lo critichi diventi automaticamente antisemita, che è un'assurdità. Puoi criticare la Francia, l'Italia, la Germania, la Russia o qualsiasi altro paese del mondo, ma Israele no. Questo è un ricatto che genera un'autolimitazione con il timore che tu possa essere additato come nemico degli ebrei. Su questo, ovviamente, Netanyahu ha giocato molto abilmente. Oggi, di fronte alla vastità delle vittime civili, con un numero impressionante, e alle immagini che vediamo di bambini uccisi mentre vanno a prendere il pane, il tappo salta, ma in un ambiente cosiddetto mainstream c’è la tendenza a non dire la verità, perché si sottostà a un condizionamento implicito che è così potente da inibire un gesto di coraggio intellettuale o semplicemente di ricerca della verità, che dovrebbe essere il sale del giornalismo.

Faccio un esempio di come funziona, parliamo di Joe Biden. Io sono stato uno dei giornalisti che già due anni fa diceva che Biden aveva chiaramente problemi cognitivi, perché era evidente: stringeva le mani nel vuoto, parlava da solo, ne faceva di ogni. Per quelle mie affermazioni è partita un'interrogazione parlamentare da parte del PD contro di me. Sui social c'erano moltissimi giornalisti che urlavano allo scandalo dichiarando che Biden fosse in gran forma e trovavano giustificazioni per negare la realtà. Tutto questo perché? Perché dovevi assecondare la narrazione ufficiale negando persino quello che potevi riscontrare con i tuoi occhi. Quando questo accade vuol dire che noi, come categoria dei giornalisti, siamo sottoposti a questa autolimitazione, a questo ricatto d'ambiente in cui nessuno vuole uscire dal grande giro della CNN, delle grandi testate, per cui si sposa la tesi ufficiale, evitando di esporsi e mantenendo il proprio posto. È umanamente comprensibile, però non è il giornalismo nel quale io sono cresciuto, da allievo di Indro Montanelli. Ho sempre ammirato i grandi giornalisti, di destra e di sinistra, anche con visioni molto diverse dalle mie, con i quali potevi essere d'accordo o non d'accordo, ad
esempio Terzani, Fallaci, Giorgio Bocca. A queste grandi firme il coraggio non mancava. Noi abbiamo un po' tradito questa eredità ed è molto preoccupante per lo stato di salute della nostra democrazia.

 

A.L.M: Anche i giornalisti ed il giornalismo d’inchiesta possano diventare strumento, consapevole o inconsapevole, di ricatto? Come può accadere questo?


Marcello Foa:
Sì, questa è una delle pagine più dolorose. Ho avuto modo di presentare il mio ultimo libro in alcuni programmi, sia Rai che Mediaset e anche su La7. Alcuni giornali ne hanno parlato anche molto bene, ad esempio il Fatto Quotidiano che mi ha dedicato una pagina, la Verità, Il Giornale eccetera.Ma su altre grandi testate è calato il silenzio su questo libro. Anche perché forse mette il dito nella piaga. Oggi vediamo come la stampa sia diventata il veicolo per esercitare dei ricatti. Il punto qual è? Il buon giornalismo di inchiesta è in realtà estremamente faticoso, perché se tu hai una pista, metti una squadra di giornalisti che per settimane, talvolta per mesi, va a scavare.
Trovati tutti i riscontri, incrociate le testimonianze, pubblichi una fior d'inchiesta, il grande scoop. Questo richiede tempo, energia e investimenti, cose che oggi quasi tutti i media non possono permettersi e non cercano neanche fondamentalmente. Poi c'è il giornalismo di inchiesta che si basa su osservazioni spontanee: ti capita la segnalazione di un lettore, oppure recepisci alcune cose, scavi, ottieni i riscontri e pubblichi. Non è il grande giornalismo di inchiesta, ma è pulito nella sua nascita ed evoluzione. Poi c’è il giornalismo che si basa sul dossieraggio: qualcuno improvvisamente ti passa una dritta fenomenale e ti dà dei riscontri. Tu scavicchi un po', verifichi che i riscontri siano attendibili, esci su un fatto out of the blue, cioè qualcosa di cui nessuno parla in quel momento, tiri fuori quella storia e pubblichi.
La questione è: sei tu che stai sfruttando una buona fonte o è una buona fonte che sta sfruttando te? Questa fonte a quale gioco sta giocando? Quali obiettivi reali sta perseguendo? Tu, giornalista, sei consapevole di poter essere il veicolo di qualcosa che poi magari finisce in un'assoluzione perché il fatto non sussiste? Ti poni questi scrupoli? Purtroppo, abbiamo già visto quanti errori giudiziari sono stati commessi, vite rovinate, e con quanta facilità la stampa ha sparato in prima pagina accuse che poi si sono dimostrate false. Allora dobbiamo farci qualche domanda. Apriamo la riflessione e rendiamoci conto che noi giornalisti siamo troppo spesso il veicolo attraverso cui il ricatto si esercita, e questo è molto molto disdicevole.

 

A.L.M.: Hai raccontato che nel 2018, quando eri presidente della RAI, hai avuto la sensazione di essere stato spiato e di essere stato oggetto di dossieraggio. Cosa accadde?

 

Marcello Foa: Quando fui nominato presidente Rai fui oggetto di una campagna mediatica violentissima, forse qualcuno lo ricorderà. Me ne hanno dette di ogni, qualunque forma di accusa, sono andati a frugare nei miei vecchi tweet, sono andati ad attingere da siti che mi diffamavano sistematicamente per presentare quelle accuse come vere e provate. Mi sono trovato in prima pagina sul New York Times e sul Financial Times. Amici francesi mi dicevano “ti ho visto in prima pagina su Le Monde, su Le Nouvel Observateur . Ma cosa hai fatto?
Pensavo fossi una persona per bene. ti dipingono come un fanatico irresponsabile, estremista”. Io avevo comunque la sensazione, e anche dei riscontri, che non solo ero intercettato al telefono, cosa che davo per scontato, ma anche tramite la presenza di microspie negli ambienti che frequentavo abitualmente. Mi domandavo: in una democrazia e ricoprendo una carica che peraltro non è neanche esecutiva ma di rappresentanza dell'azienda, perché devo essere intercettato? Cosa diavolo vogliono sapere? Forse cosa penso del Presidente del Consiglio Conte? O di Salvini? Di Di Maio, o di Grillo, di Renzi? Poi, a posteriore ho capito. Cercavano elementi di ricatto: volevano sapere se avevo una amante, se frequentavo festini di un certo tipo, se consumavo droga, se chiedevo tangenti, se prendevo tangenti... tutto quanto avrebbe potuto imbarazzarmi e dunque essere oggetto di ricatto. Io ho una vita familiare normalissima. Sono cascati male. Li immagino ad ascoltare le telefonate con mia moglie mentre parliamo delle nostre vicende e dei figli, o aspettarsi di vedermi la sera a qualche festa romana e trovarmi invece solo a fare due passi per sgranchirmi le gambe. Sono rimasti delusi, poverini! Adesso ci scherzo, naturalmente, però attenzione: quando sei in quel ruolo lì e senti questa diffidenza di un certo establishment, di un certo mondo che non si dichiara ma si percepisce, che ti scruta e che spolpa viva anche la tua privacy, che ti manda messaggi, è una sensazione durissima da sopportare, sgradevolissima, e ti fa riflettere. Perché non è normale che in democrazia accadano cose del genere.

 

A.L.M.: Veniamo all’attualità. La politica di Trump, oggi al suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti, ha sconvolto gli equilibri un po' in tutto il mondo, in particolar modo attraverso lo strumento dei dazi. Dal punto di vista nostro, di europei, il suo modo di fare politica può essere visto come una forma di ricatto. Eppure, se guardassimo il suo modo di agire da un'altra prospettiva si potrebbe dire che Trump stia reagendo ad un altro ricatto, quello della globalizzazione. Tu come interpreti le sue scelte?

 

Marcello Foa: I lettori forse ricordano il mio libro precedente, “Il sistema invisibile”, in cui descrivevo le regole del gioco nell'economia globalizzata. Regole basate su condizionamenti invisibili, ma molto molto pesanti. La globalizzazione ha portato a una sottrazione di sovranità e, di fatto, ad obbedire a decisioni prese in luoghi che non erano quelli del Parlamento o del governo. Trump questo sistema non lo ama, non lo vuole. Per me ciò è molto positivo, perché era una sorta di grande gabbia internazionale in cui noi eravamo formalmente liberi, ma in realtà non lo eravamo più di tanto, come paesi e anche come individui. Trump non è da santificare, a sua volta usa i ricatti, ma li usa con una modalità diversa. Il suo è un ricatto esplicito ed è chiaramente basato su una finalità negoziale, e io preferisco che sia esplicito anziché sottile, nascosto. Vediamo come agisce sui dazi dicendo “metto i dazi a tutti”, ma poi tratta con i cinesi, con la Gran Bretagna ha già fatto l'accordo, con l'Europa fa lo stesso gioco, tira la corda, prolunga la scadenza, ecc. Cosa sta cercando di ottenere? Spara 10 per ottenere 3 o 4, ovvero sta applicando le regole del business alla cosa che gli sta più a cuore, perché si rende conto che l'economia americana ha degli squilibri talmente grossi che se non li sistema in fretta, la supremazia americana rischia di essere compromessa. Le mosse di Trump le leggo con questo spirito e queste finalità. Purtroppo invece vedo che, come sempre, la maggior parte delle persone restano in superficie, vedono solo i ricatti espliciti di Trump e non sono neanche consapevoli di quelli invisibili esercitati prima, da Biden, da Obama, ma anche dallo stesso Bush.

 

A.L.M.: Nel tuo libro, dopo aver parlato di ricatto in ambito politico, nel mondo del lavoro e dell'economia, affronti anche il tema del ricatto emotivo, quello che si verifica nella vita personale, nei rapporti familiari, nelle relazioni sentimentali. Perché hai voluto toccare anche questo tema?

 

Marcello Foa: Io propongo un viaggio non convenzionale nella cultura o subcultura del ricatto perché voglio rendere consapevole il pubblico che non si tratta solo di tematiche che riguardano i massimi sistemi, ma anche addirittura la nostra intimità. Per farlo mi sono avvalso della collaborazione di due psicologhe molto brave, Barbara Castiglione e Sara Viola, le quali mi hanno reso ancora più attento e hanno motivato con molta precisione il fatto che purtroppo nelle nostre relazioni personali capita più frequentemente del previsto che ci siano dei ricatti emotivi. All'interno della coppia, marito-moglie, compagno-compagna, oppure nel rapporto tra genitori e figli, in un senso o nell'altro, cioè con figli che ricattano emotivamente i genitori e genitori che ricattano emotivamente i figli. Oppure anche tra fratelli e sorelle, specialmente quando ci sono le eredità da spartire. Questo tipo di dinamiche sono così diffuse che sono quasi sempre una delle fonti primarie del malessere psicologico per cui le persone si rivolgono allo psicologo. Sono terribili, e lo sono anche perché chi le esercita spesso non è neanche consapevole di farlo e chi lo subisce la ritiene una normalità. E invece così non è. Inoltre sono questioni che riguardano gli affetti per cui ti toccano e ti devastano. E' un capitolo molto sintetico ma questo è forse il più doloroso dei ricatti, perché riguarda proprio la nostra intimità.

 

A.L.M.: C'è la possibilità di difendersi da questa cultura del ricatto? E se sì, come?

Marcello Foa: Certo, abbiamo cominciato a farlo noi oggi qui, parlandone. Ci si difende da un pericolo se cominci ad esserne consapevole. Se non sei consapevole del pericolo continuerai a cascarci, questo vale sia per la nostra democrazia sia per i ricatti emotivi. Io auspico proprio la nascita di una consapevolezza, innanzitutto individuale e che poi possa diventare collettiva. L'esperienza insegna che qualunque forma di manipolazione (e il ricatto in fondo è una forma di manipolazione) politica, economica o emotiva, si comincia a combattere e sconfiggere da quando viene denunciata.

 

Valutazione: 0 stelle
0 voti

Aggiungi commento

Commenti

Verdiana Siddi
2 ore fa

Ottimo lavoro!