IL POTERE DELLE PAROLE: PARLIAMO DI SESSISMO LINGUISTICO

Pubblicato il 8 agosto 2025 alle ore 17:07

Sessismo

di Anna Lisa Maugeri

Un antico proverbio siciliano dice “A lingua unn’avi ossa, ma rumpi l’ossa” (la lingua non ha ossa,
ma rompe le ossa). È un ammonimento chiaro, un’immagine efficace per ricordarci che le parole
hanno anche un grande potenziale distruttivo.
Le parole possono fare davvero male, è un’esperienza che probabilmente tutti abbiamo
sperimentato almeno una volta nella vita, specie nell’ambito delle relazioni affettive e familiari.
Anche nella società in generale, le parole che usiamo ogni giorno possono fare bene o male alla
collettività, ostacolare o favorire il progresso culturale, poiché plasmano la realtà, veicolano
stereotipi e rinforzano strutture di potere.

Non si tratta solo di termini offensivi o apertamente discriminatori, ma di abitudini linguistiche
radicate che spesso passano inosservate.
Le parole sono tra gli strumenti più utilizzati ed efficaci dell’arte della comunicazione. Saggisti e
oratori sono ben consapevoli dell’importanza della scelta delle parole giuste, sia nella forma scritta
che parlata, adeguate al contesto e al momento storico in cui sono espresse e al target a cui sono
rivolte.

Ciò che scriviamo e diciamo è la rappresentazione del mondo e della realtà che ci circonda, o
meglio, è la manifestazione della percezione che ne abbiamo.
È nella quotidianità che si perpetuano, attraverso il linguaggio, schemi e retaggi culturali fortemente
discriminanti, solitamente contro il genere femminile, spesso senza neanche rendercene conto.
Tra gli aspetti più sottili ma profondi della disuguaglianza di genere, nonché un ostacolo per il
raggiungimento di una vera parità dei diritti, c’è anche il sessismo linguistico.
Ecco perché è importante riconoscerlo e cambiare il nostro linguaggio.

Cos’è il sessismo linguistico?
Il sessismo linguistico è l’uso del linguaggio che discrimina un sesso o un genere, solitamente le
donne. Si manifesta in diversi modi: dall’uso del maschile sovraesteso (il classico “tutti gli studenti”
per riferirsi a uomini e donne), alla mancanza di femminili professionali (“il ministro” invece di “la
ministra”), fino alla diversa connotazione di parole usate per uomini e donne (basti pensare a “uomo
di mondo” che riferito ad una donna significa “donna di facili costumi”).

Il problema del maschile generico
In italiano, il maschile è spesso usato come forma “neutra”. Ma non lo è. Numerosi studi in ambito
sociolinguistico hanno dimostrato che quando si usa il maschile sovraesteso, la mente tende a
visualizzare figure maschili. Quindi, parlare di “i medici” o “i professori” rende invisibili
sistematicamente le donne, anche quando rappresentano una percentuale rilevante o maggioritaria
della categoria.
I femminili professionali: una questione di rappresentazione
Dire “ingegnera”, “sindaca”, “avvocata” non è solo una scelta stilistica. È un’affermazione di
esistenza. Quando una professione ha un corrispettivo femminile, riconosce implicitamente che le
donne la esercitano, che ne fanno parte. Chi si oppone a questi termini spesso lo fa appellandosi
all’estetica o alla tradizione linguistica, ma dietro queste critiche c’è spesso il fastidio, anche
inconscio, verso l’ingresso delle donne in ruoli di potere.

Sessismo implicito e linguaggio quotidiano
Oltre alla grammatica, ci sono frasi, espressioni e modi di dire che rinforzano stereotipi di genere.
“Comportati da uomo”, “sei isterica”, “una donna al volante”: sono tutte espressioni che collegano
qualità e comportamenti al genere, giudicando e classificando sulla base di presunte norme
“naturali”. Questo tipo di linguaggio contribuisce a creare un clima sociale in cui la disparità di
genere appare normale, giustificata, invisibile.

Perché cambiare linguaggio è importante

Modificare il linguaggio non è solo una questione di forma, ma di sostanza. Le parole creano il
pensiero, e il pensiero guida le azioni. Un linguaggio più inclusivo contribuisce a creare una società
più equa. È uno strumento di cambiamento culturale, un passo necessario per combattere il sessismo
a livello sistemico.

Cosa possiamo fare? Possiamo anzitutto prendere la buona abitudine di usare il femminile
professionale quando esiste ed evitare il maschile sovraesteso, preferendo formule inclusive.
È già un buon punto di partenza riconoscere e correggere nella quotidianità gli stereotipi impliciti
nel linguaggio, ma serve sensibilizzare la società sull’importanza di una comunicazione inclusiva,
partendo dalla scuola, mentre le istituzioni ed i media dovrebbero dare il buon esempio.

Come detto, il sessismo linguistico non è solo un problema grammaticale, ma un riflesso della
società e delle sue disuguaglianze. Cambiare modo di parlare significa cambiare modo di pensare. E
solo cambiando il pensiero si può costruire una società davvero paritaria.

Valutazione: 5 stelle
1 voto

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.