Stefano Rebora: “la Convenzione di Ginevra parla chiaro!” - di verdiana Siddi

Pubblicato il 6 settembre 2025 alle ore 19:02

Music for Peace con la Global Sumud Flotilla

 

 

Katz, ministro della Difesa israeliano, minaccia di aprire le porte dell’inferno su Gaza con un post su X: da quando sono state aperte ad oggi, la Striscia di Gaza è sparita dalla cartina, al suo posto c'è un deserto di macerie. Nel frattempo Meloni, incalzata dalle opposizioni, dichiara che i cittadini italiani che parteciperanno alla missione umanitaria saranno tutelati (non si sa come), e aggiunge che riterrebbe opportuno “avvalersi dei canali già attivi” per evitare rischi. I canali già attivi come Food for Gaza... quelli che gestisce Israele, insomma. Stando alle parole di Francesca Albanese, a uno stato che è accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, non solo dovrebbero essere imposte sanzioni, ma le misure istituzionali di cooperazione umanitaria, in aiuto delle popolazioni, non dovrebbero essere lasciate alla gestione del paese invasore; “la distribuzione degli aiuti, gestita da Israele, ha già ammazzato 1700 persone”, afferma.

Global Sumud Flotilla, la cui coordinatrice per l'Italia è Maria Elena Delia (Global Movement to Gaza) è la missione umanitaria più vasta di sempre. Delegazioni di attivisti e volontari di 44 Paesi, in questi giorni stanno salpando dai porti del mediterraneo per portare aiuti umanitari oltre il confine delle acque internazionali, nonostante il divieto di Israele.

Stefano Rebora, presidente di Music for Peace, Ong genovese che ha coordinato la raccolta di generi alimentari e medicinali nell’ambito della missione, ha accettato di rispondere ad alcune domande a poche ore dalla sua partenza verso Gaza.

Le sue parole bucano il tessuto crespo delle contraddizioni e arrivano al cuore della questione: Gaza sta morendo, e con Gaza muore il senso di appartenenza alla famiglia umana di ciascuno di noi. L'azione violenta e razzista di Israele in diretta streaming, pare non scalfire la coscienza di questo occidente che ha ormai accettato il sangue altrui come tributo, per il quieto procedere d'inerzia di una società votata all'ipocrisia e all'individualismo, ma secondo Stafano Rebora c'è ancora una possibilità di redenzione, e ha voluto perciò raccontare la sua prospettiva.

 


05.09.2025

Grazie, Stefano, per il tempo che hai voluto dedicare a questa intervista, so che sono giorni molto impegnativi per voi.

Music for Peace opera a Gaza dal 2009 e in Sudan dal 2018, ma sono 55 le missioni umanitarie all’attivo. Abbiamo scelto di aderire alla Global Sumud Flotilla, portando la nostra esperienza su raccolta, trasporto e consegna di aiuti. Insieme proveremo a rompere l’assedio che impone la privazione di ogni diritto ai palestinesi da parte dello stato di Israele. La Convenzione di Ginevra parla chiaro: devono aprire un corridoio umanitario.

 

Israele usa la fame come strumento di guerra, questa non è una guerra.

Certamente, stiamo parlando di un attacco contro la popolazione civile. Maggio 2024, è stata l’ultima data utile in cui siamo riusciti ad arrivare a Gaza, dopodiché ci è sempre stato rifiutato il permesso. Per ben tre volte abbiamo dovuto cambiare la destinazione degli aiuti, si parla di sei container. Le tempistiche infinite per ricevere il permesso da Israele rischiavano di far deperire il cibo. Una volta ci hanno persino risposto che i letti ospedalieri non erano considerati aiuti umanitari. L’intenzione del governo di Netanyahu di chiudere la Striscia all’arrivo di aiuti umanitari è palese e concreta, ma il nostro scopo è di aiutare quando c’è la necessità e faremo di tutto per riuscire. Non possiamo più aspettare un permesso che non arriverà mai, pur consapevoli che questa missione potrebbe significare la fine dei nostri interventi a Gaza per interdizione. Prima di accettare inermi le politiche di chi ignora sistematicamente il diritto internazionale, condannando a morte un intero popolo, è doveroso un atto di disobbedienza civile, pacifica, umanitaria, collettiva.Le notizie che ci arrivano quotidianamente dalla Striscia sono inenarrabili.

 

Come interpretate la risposta e la non-risposta delle istituzioni?

Io credo che le persone si stiano rendendo conto della situazione, questo mi basta. Bisogna agire in quanto esseri umani. C’è una sostanziale differenza tra politica e partitismo, le missioni di Music for Peace sono politiche, mai partitiche, ma qui la priorità è addirittura precedente a questi discorsi. Restiamo Umani!

 

Non è usuale che parte delle istituzioni dimostri interesse, appoggio, partecipazione, nei confronti di progetti umanitari per Gaza, secondo te questo può rappresentare per voi una tutela, viste le feroci minacce del governo israeliano?

Vedremo. Questo lo vedremo.Intanto posso garantire che la vera tutela è la compattezza di chi si rende partecipe della missione, a qualsiasi titolo.

Gli esponenti politici che si stanno dimostrando rispettosi del nostro sentire e in linea con lo spirito del progetto, in quanto uomini e non politici, così come quelli che potrebbero farlo in futuro, sono parte di un lavoro d’insieme che va oltre qualsiasi differenza. Non possiamo più rimandare. Il silenzio e l'inazione, in questo contesto, sono imperdonabili.

 

Che obiettivo auspichi per la missione?

Anche qualora arrivassero i nostri container, questi non sarebbero una soluzione. Confido molto di più nell’effetto dell’intera operazione, che ha già ottenuto un enorme risultato, vista la numerosa partecipazione delle persone che hanno arricchito la propria consapevolezza e il proprio senso di cooperazione. Noi possiamo molto, con poco, se ciascuno fa per il bene comune.

Questa operazione sarà riuscita, non per dove arriverà, ma perché è partita dal basso e in tal senso ha avuto già il suo successo. Siamo abituati a grandi sigle altisonanti che spronano i cittadini ad agire, in questo caso sono state le singole persone - insieme - a suscitare il coinvolgimento delle grandi organizzazioni. Le gocce sono diventate mare e il mare è una forza dirompente. Ora staremo a vedere cosa accadrà al confine, alcune imbarcazioni sono già partite ed altre partiranno nei prossimi giorni.

 

Sembra che a Gaza l’umanità abbia perso, ma se ci fosse un’ultima possibilità, quale potrebbe essere?

Verdiana, se dovessi raggruppare tutte le volte che sono stato là per le missioni… si potrebbe dire che ci ho vissuto per tre anni. Il nostro modo di operare è a diretto contatto con le persone, portiamo gli aiuti alle famiglie, casa per casa, e quindi col tempo ho costruito rapporti di vera amicizia con molti palestinesi. Ancora oggi, da chi è rimasto in vita, ricevo messaggi del tipo “non ce la faccio più, sono disperato, portami via”, ti posso assicurare che so cosa significhi sentirsi impotenti. Ciò mi spinge necessariamente a ragionare in questi termini: il più piccolo gesto di chiunque si dimostri vicino alla causa palestinese può fare davvero la differenza.

Credo che il bisogno di consolidare una fiducia vicendevole tra le persone sia centrale. E passa sempre dalla dimostrazione reciproca e costante di coerenza tra parole e azioni. Riappropriarci della parola NOI, come popolo, come famiglia umana, è l’unica possibilità che ci resta. Tutto ciò che abbiamo.

 

13 gennaio 2009

 

“Del mare proviamo a fare ancora un corridoio salvifico, una breccia su questa terra martoriata, confiscata e imprigionata, stuprata in ogni suo palmo, ridotta a un cimitero per salme che non trovano riposo.”

Vittorio Vik Arrigoni, Gaza. Restiamo umani.

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