La connessione tra Uomo e Natura nell'Arte
In questo luglio romano la canicola incombe sulla città e chi non è fuggito verso altri lidi più freschi cerca solo ombra e riposo. Purtuttavia la possibilità di girare per la città con il traffico rarefatto, tipico di questo periodo è una ghiotta occasione. Perché Roma è una città magica e la diminuzione del rumore e del caos, insieme all’assenza di freneticità, rendono subito meno nascosto questo suo tratto peculiare, anzi genetico.
Cerco dunque una destinazione verso cui dirigermi e la mia attenzione viene catturata da una notizia singolare e strana: all’Orto Botanico c’è una mostra su un albero caduto. Poiché in questo periodo sono particolarmente sensibilizzata sulla strage di alberi che si sta compiendo a Roma (ma anche in altre città, mi dicono) nel più completo silenzio degli autoproclamatisi “professionisti dell’informazione” e nella totale indifferenza della “maggioranza silenziosa”, che a Roma si lamenta solo nei bar e mai nelle urne, cerco di capire meglio.
Non è affatto una “mostra su un albero caduto”! È una mostra sul rapporto che l’artista ha creato con l’albero caduto. Questo mi intriga: una mostra su una relazione! Su una relazione tra un uomo e una pianta, poi! Epperdipiù una pianta morta, o morente! Ho deciso: questo pomeriggio andrò all’Orto Botanico.
Un pensiero mi si affaccia alla mente: mentre c’è gente che, per soldi o per altri motivi meno chiari, uccide alberi sani, qualcuno decide di prendersi del tempo per stabilire una relazione con il “cadavere” di un albero.
Quanto sono distanti queste due diverse sensibilità?
Sarà mai possibile colmare questa distanza?
Potrà mai esserci vera Pace tra gli uomini se essa non viene colmata?
Mi chiedo se la visita di oggi mi darà qualche risposta.
Arrivo. L’Orto Botanico non è semplicemente un posto interessante da visitare. È un ambiente, che accoglie il visitatore con un suo proprio e peculiare linguaggio, semplice e chiaro, piano eppure profondo, che parla al cuore, il quale a sua volta comunica alla mente un inconfondibile senso di Pace e di Serenità. Passeggiare per i suoi vialetti ti immerge immediatamente e senza sforzo in uno stato di intensa Contemplazione. Lo si vede benissimo anche negli altri visitatori, perlopiù silenziosi o che parlano a bassa voce, e che dànno tutti l’impressione di non star facendo nulla di particolare. Alcune persone stanno sedute su una panchina, da sole, con un’espressione trasognata sul volto. Altri invece leggono un libro, con pose che sembrano uscite direttamente da qualche quadro dell’impressionismo. Decido che sono già soddisfatta di questa visita prima ancora di arrivare alla sala dove c’è la mostra.
Arrivata nell’area dedicata alla mostra vengo accolta da un bell’uomo, quarant’anni o poco più, capelli neri, un bel sorriso aperto e sincero, due occhi intensi che comunicano profondità e passione. Capisco subito di trovarmi di fronte all’Artista in persona, così prendo l’occasione al volo:
- Lei è l’Artista, l’autore delle opere?
- Si. Sono Francesco Bartoli
- Sono venuta per scrivere un articolo su questo evento. Già che è qui, La posso anche intervistare?
- Con molto piacere!
Non mi sbagliavo, è proprio come sembra: intelligente, affabile, eppure diretto, senza filtri. Inizio nel modo più canonico, chiedendo notizie su di lui e sul perché di questa scelta artistica e di questo lavoro.
- Nella sua mostra si parla della connessione tra uomo e natura, nel senso dell'amore anche dell'albero. E dire che in questo momento non c'è granché rispetto per la natura. Da che cosa nasce questa sua passione, questo suo interesse? Come nasce lei come artista?
- Mi soffermo un attimo su come è iniziato questo percorso: negli ultimi 5 mesi e mezzo io ho lavorato qui all'Orto Botanico, in un luogo concreto che ho scelto per questo progetto site-specific, che è all'interno, all'esterno e nel suo habitat di un platano orientale abbattuto nel 2011 da un forte temporale. Sin dal primo sopralluogo mi sono reso conto che quello era un posto che mi piaceva molto perché effettivamente rappresentava un po' tutto il mio percorso di ricerca, cioè quello di stabilire una relazione con i luoghi in cui opero, in cui lavoro, che visito, e quindi anche una relazione “altra” con la Natura, in questo caso con l'ambiente. Il protagonista di tutta la mostra è ovviamente il Platanus Orientalis, che è uno dei 5-6 platani più vecchi di Roma, ha oltre cinque secoli, è stato piantato tra fine Cinquecento e inizi Seicento. Nel 2011 era uno dei più alti ed è stato abbattuto da un forte temporale e poi è rimasto lì dove è caduto, per tutto questo tempo. Ovviamente i batteri hanno fatto il loro lavoro in questi anni e quindi questo lungo processo di decadimento, di morte dell'albero è iniziato. Le intemperie e i batteri hanno scavato completamente il tronco e adesso addirittura si può attraversare e si può visitare anche all'interno.

- E dove si trova?
- Vicino alla scalinata settecentesca.
- Allora dopo andrò a visitarlo...
- All'inizio io ho fatto un primo sopralluogo e ho partecipato al bando indetto dal Museo Orto Botanico. Loro hanno scelto per quest'anno soltanto questa mostra, che era appunto un progetto site-specific da realizzare; non volevano opere già realizzate. Quindi il mio lavoro è stato vivere all'interno dell'albero e all'esterno, fino a creare una relazione nel corso del tempo per cinque mesi e mezzo. Come l'ho stabilita: all'inizio (e nel video lo si può vedere) cercando di far risuonare e di far vibrare questa grande cassa armonica (perché alla fine di quello si tratta) che è il tronco. Quindi l'ho attraversato, abbiamo messo dei microfoni all'interno e l'ho fatto risuonare, l'ho fatto vibrare dall'interno. Abbiamo captato tutti i suoni dell'Orto i quali vengono filtrati e risultano un po' ovattati. È particolare il suono che arriva all'interno del tronco. E da tutte queste azioni ovviamente nascono le idee di tutti i lavori: è una mostra di torba, carta, carbone, terra, quindi tutti i materiali organici che io ho estrapolato dall'albero. Tutti i lavori, sia i frottage esterni, per esempio...
- Per frottage si intende..?
- Per frottage si intende il vecchio sistema di disegnare frottando, cioè appoggiando un foglio e poi con la matita, o in questo caso col carbone, trasferire quella superficie sul foglio. Partendo dai frottage è nata proprio una serie di lavori dedicati esplicitamente alla pelle esterna dell’albero, che poi si trasformano e diventano dei disegni che rappresentano un po' anche la trasformazione dell'albero.

Parla con la partecipazione e il trasporto con cui un innamorato parla della sua donna: vuol dire che è sinceramente innamorato di ciò che fa e non della propria immagine di sé. È quella l’essenza di quella che io chiamo UMILTÀ. Sono veramente felice di essere qui adesso, perché questo è senz’altro un momento magico! Francesco Bartoli è talmente “preso” dal racconto della sua esperienza, che ha già dimenticato le domande su di lui e sul suo percorso artistico/umano. Provo a chiedere di nuovo.
- Mi sembra un unicum di questo genere. Ci sono altri artisti che hanno fatto un lavoro di questo tipo, questo rapporto così intimo con la natura?
- Ci sono molti altri artisti che lavorano e scelgono dei luoghi in concreto. GIUSEPPE PENONE, ad esempio, è uno dei maestri che lavora da tanto col tema del tatto e della sensibilità col mondo naturale.
- Quindi lei nasce come botanico, come pittore, o che altro?
- Io sono artista visivo, pittore, scultore, faccio anche film, quindi l'arte visiva di oggi, a 360 gradi.
- Questo particolare lavoro rappresenta un po' un cercare di connettere quella che è la sintassi dell'Artista con la sintassi della Natura, se ho ben capito.
- Sì, esatto. Poi questa particolare posizione privilegiata, di lavorare a contatto con l’esemplare, sia all'interno del tronco che all'esterno, che nel suo habitat, mi ha permesso di sviluppare tanti lavori in diverse discipline. Per esempio questo è un lavoro su carta 350 grammi... è un cotone, quindi bagnandolo diventa molto morbido e poi questa è stata fatta all'interno dell'albero... sono delle impronte, sono delle tracce dei vuoti e dei pieni...
- ...e quindi poi le ha lasciate asciugare in maniera che mantenessero la forma.
- Sì, esatto; e poi ci sono intervenuto con dei carboni, per esempio nei neri, sia con delle torbe che con dei carboni. Lavorando appunto su questa idea delle bruciature che troviamo all'interno dell'albero, perché alcuni rami sono stati mozzati. Le intemperie hanno fossilizzato alcune parti. Ci sono dei punti in cui l'interno ha già iniziato il processo, ci vuole molto tempo, però in alcune parti puoi vedere come le bruciature siano più intense. E quindi ho reinterpretato anche quella parte. Ciò è invece molto diverso da quelli, che sono carboni. Qui non ci sono carboni: è terra, non è torba. Mentre questa, che ha una specie di sfumatura marrone al di sotto, questa è torba, infatti ha un colore dorato come quei lavori su carta...
- Sembra quasi pelle di coccodrillo, dà questa sensazione... pelle d'albero! Per torba si intende...?
- ...intendo proprio il materiale organico della corteccia interna che col tempo si polverizza diventa talmente minuta che si crea una specie di terra, terriccio. Quello che noi compriamo per piantare i nostri fiori, quella è torba; quella è corteccia. La torba è un precursore del carbone. Puoi comprare il terriccio o puoi comprare la torba: hanno due funzioni diverse nel piantare o un tipo di tipo di pianta o un'altra. La torba invece è molto ricca perché contiene tutti i minerali... è praticamente lo xilema dell'albero, contiene tutto quello che aveva l'albero all'interno.
- Quindi i nutrimenti organici...
- ...però dell'interno, del tronco, della parte interna, quindi si sbriciola talmente tanto che diventa una specie di terra molto leggera infatti i sacchi di torba sono molto leggeri perché la corteccia poi diventa leggera. Le carte a pareti sono una reinterpretazione della pelle e di ciò che può nascere da questo processo di morte. Quello all'interno delle teche è invece un lavoro all'interno del tronco... Questo all'esterno del tronco... Questo in una delle bocche perché con della torba naturale e l’acqua invernale si creava della fanghiglia... io me la sono portata in studio e ho fatto delle prove per capire se il colore mi piaceva e poi sono intervenuto lì, direttamente stampando quasi queste forme in contatto con l'albero in una delle bocche grandi, che si può vedere anche qua nel video. Tutto è iniziato con il video.

È incredibile! In pochi minuti di conversazione, oggetti che, se muti, avrebbero potuto restare incomprensibili, in tutto o in parte, assumono significati che non avrei potuto immaginare e mi restituiscono nuovi punti di vista, tanto inattesi quanto graditi e illuminanti. Scopro che la Vita non è solo l’esperienza personale, ma anche tante altre esperienze, con le quali noi possiamo comunque entrare in contatto, a patto di trovare il modo di comunicare. Francesco Bartoli ha trovato un modo
sorprendente per farlo, ma ha trovato anche il modo di comunicare anche a noi ciò che ha imparato. È una stele di Rosetta tra noi e questo grande albero! E ora mi escono di bocca domande che non avevo pensato di porre...
- Vorrei farti adesso un paio di domande che non riguardano il lavoro che hai prodotto ma la connessione di cui parlavi: come hai capito che si era stabilita la connessione? come hai esplorato questa connessione? e cosa hai trovato cambiato in te, una volta che ti sei accorto della connessione?
- Guarda... è un percorso sensoriale, un percorso legato al tatto prima di tutto! Se ne parlava stamattina con una con una coppia di visitatori... questa idea già di prendersi del tempo per abitare un luogo più del normale. Di solito si lavora in studio, si contempla, per poi tornare in studio e realizzare. Io invece per creare una connessione ancora più profonda ho voluto realizzare tutte le opere lì, in loco con questa idea di “vediamo cosa mi dai, vediamo cosa ti posso prendere, cosa posso darti io...” e questa cosa sai... quando stai a contatto e ci entri dentro e inizi un processo di ascolto, accade... non so come dirti, accade perché la senti. Senti che ci devi stare un po' di più, inizi ad osservare il silenzio e ciò che accade intorno, col suono all'interno che ti inizia a piacere. Questo suono ovattato del mondo...
- Una meditazione.
- Si. E poi ti senti veramente dentro a un grembo di nuovo, insomma è vero che questa è la parte più esplicita... però sdraiarti dentro un tronco, avere la possibilità di sentirti dentro parte di un albero...
- Quindi ci hai vissuto proprio dentro...
- Beh, i lavori sono stati fatti all'interno. Per esempio quando abbiamo realizzato questi qua sono stati un paio di giorni molto lunghi perché poi aspetti, ti metti dentro con tutte le carte, stai lì, aspetti, non ti piace una, poi ricominci e cerchi di capire effettivamente come trasformare...
- Che sentimento hai sviluppato nei confronti dell'albero mentre lavoravi?
- Grande rispetto, grande rispetto e grande scambio.
- Hai sentito che l'albero ti dava dunque qualcosa?
- Sì, e io ero un po' una specie di testimone. La cosa che ci piace e che è piaciuta all'Orto, alla commissione, al Museo, è stata proprio quella; poiché l'albero tra poco andrà via: verrà sezionato, verrà tagliato e verrà mandato via, perché dal 2011 occupa uno spazio e lui sta effettivamente un po' implodendo pian piano.
- Da solo.
- Da solo, certo. Quindi vogliono mettere anche in sicurezza quell’area. E quindi tra un po' l'unica traccia che rimarrà di quella vita, alla fine sarà quest’opera. Quindi ecco che la domanda iniziale: “che cosa resta di questo lungo processo di morte?” era fondamentale, perché per capire cosa resta bisogna vivere parte di quel processo, cioè bisogna trasformarlo, di avere, attraverso i materiali, torba, carbone, terra, che mi ha regalato l'albero, la possibilità di dire: “ok, diamogli una nuova vita”. L'arte poi alla fine traduce, fa questo: trasforma, traduce la realtà.
- Diventa altro.
- Sì: diventa altro, diventa metafora.
- Un'altra vita.
- Certo. Un'altra vita.

Sono meravigliosamente stupefatta. Non ho mai avuto così limpido nella mia mente, prima d’ora, il legame indissolubile tra Morte, Vita e Arte, in cui ciascuna si trasforma nell’altra. Le parole di Francesco Bartoli sono un distillato della sua inesausta ricerca di consapevolezza e, per me che le ascolto, preziose gocce di illuminazione. Provo un profondo senso di gratitudine.
È venuto il momento, lo sento, di esprimere la mia grande preoccupazione, quella che mi ha messo in sintonia con la storia dell’albero morente, innescando la piccola catena di piccoli eventi che mi ha portato a vivere questo stupendo pomeriggio romano.
- Adesso vorrei fare una domanda che forse sembra esulare da questo contesto, o forse no, ma che dopo quello che ho ascoltato non posso non fare. Sappiamo che a Roma e in altre città stanno tagliando alberi sani come se non ci fosse un domani. Che cosa si può fare? C'è qualcosa che si può fare per impedire questo?
- Credo che tutti noi abbiamo in merito una minima o grande responsabilità. Io, per esempio, ho lo studio vicino a un bosco; cioè ho deciso di lasciare la città e di mettermi lì a osservare la Natura. Consiglio a tutti quelli che vivono in città di stare il più tempo possibile in natura perché ci serve proprio il tempo, quello di cui parlavamo prima: il tempo di osservare. C'è questa frase dello scienziato Stefano Mancuso che ho voluto mettere qui, perché credo che aiuti a capire veramente come la comunità ci può aiutare. Come fanno gli alberi, che fanno comunità e si aiutano. Ciò che poi noi dobbiamo fare è semplicemente proteggere. Continuare a piantare alberi e proteggere il poco verde che c'è nel nostro ambiente. Questo è un dovere di tutti, di ogni cittadino. Ho un pezzo di giardino, pianto alberi, pianto dei cespugli, pianto Vita.
“Le piante sono ferme, osservano molto cosa gli accade
intorno e decidono di adattarsi e collaborare con i loro vicini.
Sembrano aver capito che hanno bisogno dell’intera
Comunità per sopravvivere” (Stefano Mancuso)
- Te la faccio più specifica la domanda: ora, da quello che hai imparato della connessione tra l'essere umano e la pianta, sia questo platano in particolare, o sia le piante in generale, che cosa può andare perduto nell'animo delle persone insieme al taglio degli alberi?
- Ritorniamo a quella frase: secondo me gli alberi ci insegnano a fare comunità. Un bosco per esempio crea degli innesti radicali sotterranei spontanei. Questa è una cosa che in botanica è a dir poco meravigliosa, perché degli innesti radicali spontanei fanno sì che una pianta che stava perendo sopravviva grazie alla linfa dell'altra. È fantastico! Le piante ci insegnano ovviamente a convivere: secondo me questo è quello che imparo ogni volta che leggo qualcosa riguardo alla botanica o quando faccio, per esempio, un lavoro di questo tipo in concreto. Alberi intesi come paesaggio di ogni tipo. Credo che abbiamo bisogno di verde, di zone verdi, di alberi, di zone non urbane protette. In generale c'è bisogno di questo.
- In molte zone urbane di Roma hanno tagliato un sacco di alberi senza che ci fossero reali motivi di necessità o di pericolo.
- Il futuro va esattamente in direzione opposta. Si è già cominciato a parlare di città come quelle che hanno trovato nell'Amazzonia disboscata: facendo delle mappature digitali hanno capito che in Amazzonia c'era una città dentro il bosco. C'era una città dentro la selva. Ed è quello che si prospetta in una città futura: tantissime piante sopra, intorno agli alberi.
- Quindi c'è speranza.
- In realtà sono bellissime le ricerche che stanno arrivando all'Amazzonia, perché stanno capendo che effettivamente c'erano delle città enormi dentro, nel cuore della selva.
- Quindi anche Roma potrebbe diventare nel futuro...
- Faccio una parentesi, duemila anni fa, qui era già hortus per i Romani, questa è sempre stata zona adibita ad orto. Questo luogo era già un hortus romano e quest'Orto Botanico nasce proprio sulla traccia dell'hortus botanico di Roma. E qui dentro c'è anche un bosco, che è sempre stato bosco fin da allora, salendo si trova dopo il platano; a metà scala (che adesso comunque è chiusa) c'è il platano e poi c'è tutto un bosco lasciato proprio così com’è, un bosco diciamo selvaggio, selvatico, non manipolato, che a quanto mi hanno detto è stato lì per duemila anni, perché quella zona è sempre stata bosco...
- ...quindi anche sacro probabilmente.
- ...non l’hanno mai toccato. Si: BOSCO SACRO.
Trasalisco. Giusto oggi riflettevo sul fatto che Roma è una Città Magica e ancora poco fa avevo notato quanto fosse particolarmente magico questo specifico luogo e ora... apprendo che proprio qui viene tuttora conservato intatto, da millenni, un pezzo originale di quella Natura Primigenia dalla quale è sorta questa città. D’un tratto nella mia mente il cerchio si completa e capisco che la magia di Roma risiede proprio nell’aver sempre conservato il legame con la terra che l’ha generata e da cui non ha mai smesso di trarre la linfa vitale che la sostiene. E gli alberi fanno parte di tutto ciò, sono il collegamento tra la Città e la sua Anima.
Di colpo realizzo che l’attacco agli alberi della città è un attacco diretto alla sua magia, finalizzato a cercare di renderla una città senz’anima, come ce ne sono già tante nel mondo. Realizzo che difendere i nostri alberi è difendere la nostra integrità di Esseri Umani, quel collegamento all’Anima Mundi senza il quale saremmo indistinguibili dagli zombi.
Stavolta tengo queste considerazioni per me; il Maestro Bartoli queste cose le sa già. Ora, grazie a lui, le so anch’io. E poi, devo ancora andare a vedere il platano.
- Sono molto contenta di apprendere che, comunque sia, presto ci sarà un ritorno al contatto con la Natura.
- Sta comunque a noi.
- ...a noi. E quindi li dobbiamo proteggere da chi li vuole tagliare.
- Infatti, la riflessione su una pianta morente è proprio questa: capire quanto essa sia importante anche durante il suo processo di morte. Figuriamoci dunque da viva! Durante il primo sopralluogo è stato patente, evidente, vedere come la sua morte aveva rigenerato tutta una nuova vita intorno, nuovi polloni, nuove piante che nascono spontaneamente, un verde più rigoglioso rispetto alle altre aree.
- Quindi nato dalle sue parti organiche.
- Assolutamente. La linfa si diluisce nell'ambiente in cui perisce. Soffermarsi su questo significa proprio capire che in questo processo non esiste una vera morte; quello che noi chiamiamo “morte” è solo una trasformazione. Ed è proprio quella la parte interessante, capire come congelare un frammento... una grande fotografia di questa trasformazione, però ovviamente reinterpretandola, perché l'arte reinterpreta. Questo è un po’ il succo di questa esperienza.
- Grazie professor Bartoli, per averci regalato questa esperienza così intensa ed emozionante.
- Grazie a voi
- Lei svolge anche attività di insegnamento?
- Si. Ho insegnato al liceo per diversi anni, faccio workshop nelle accademie, e nei miei studi.
Saluto Francesco Bartoli, e mi avvio ad incontrare l’altro nuovo amico di questa giornata particolare: un vecchio tronco caduto a cui dare un ultimo saluto, per poterlo conservare per sempre nel cuore, così da poterne evocare l’eterno battito dentro di me, ogni volta che avrò bisogno di ricominciare da capo.
Grazie Francesco Bartoli.
Grazie Platano.
Grazie Orto.
Grazie Bosco Magico.
Grazie Città Eterna.
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