Trump: Follia o strategia di un uomo al potere? - Anna Lisa Maugeri intervista Gabriele Guzzi

Pubblicato il 23 ottobre 2025 alle ore 18:01

Economia, globalizzazione e prospettive future


Da una lunga e proficua chiacchierata avvenuta poco tempo fa con Gabriele Guzzi, ho cercato di comprendere meglio attraverso la sua analisi, cosa potrebbe comportare nell'economia globale il modus operandi del presidente degli USA, Donald Trump, spesso in preda ad una sorta di schizofrenia nelle scelte politiche ed economiche, come abbiamo visto in tempi recenti con la questione dei dazi. Le sue riflessioni sono molto concrete e terribilmente attuali, malgrado l’evolversi frenetico degli eventi nel corso dei mesi intercorsi da quando è avvenuto questo nostro incontro. 

Foto Di Daniel Torok da Wikipedia (di dominio pubblico)

Gabriele Guzzi è economista, scrittore e presidente del movimento rivoluzionario L'Indispensabile. L’occasione è stata l’uscita dell’ultimo libro dal titolo “Cristo in politica. Per un'allegra rivoluzione”, pubblicato da Pauline Editoriale per la collana Crocevia, scritto con suo padre, Marco Guzzi, filosofo, poeta, saggista e fondatore dei gruppi Darsi Pace.

GABRIELE GUZZI da Facebook

Ho trascritto di seguito per i lettori le parti, a mio avviso, più interessanti.

GABRIELE GUZZI: “Chiaramente entrare nella mente di Trump e nei suoi progetti è forse più difficile che capire l'origine del Big Bang, per cui noi cercheremo di fare supposizioni in base ai dati che abbiamo oggi. Io penso che le ragioni che guidino Trump non siano comunque generate dall'irrazionalità di un folle, come il dibattito italiano mainstream ci descrive, sebbene chiaramente i suoi metodi siano quelli che conosciamo. Ci sono delle ragioni strutturali, cause economiche profonde, radicate nella storia occidentale, americana e del quadro geopolitico internazionale. Per dirla proprio con una semplificazione, è uno scontro tra l'industria, tra l'economia reale (col tentativo di riportarla negli Stati Uniti) e la finanza. 

Gli Stati Uniti si sono trasformati negli ultimi 40 anni in una economia deindustrializzata che vive grazie alla finanza e al predominio del dollaro. Questo ha tanti benefici ma anche dei costi e Trump vorrebbe riportare l'America in questo immaginario degli anni 80 del lavoratore americano ad alti salari, ad alta protezione sociale e con un'industria interna molto fiorente. Qual è il punto? È che bastano 5-6 giorni di attacchi speculativi in borsa per fargli fare marcia indietro, perché tenere i dazi solo sulla Cina in un sistema iper globalizzato vuol dire praticamente toglierli su tutti. Alla Cina basta delocalizzare in un altro paese l'ultima fase della produzione per aggirare facilmente questa tariffa. 

Al di là di quello che si può pensare di Trump, in America i mercati finanziari, come sappiamo, sono dominati sostanzialmente da 3-4 grandi gruppi finanziari che possono determinare la politica interna. Anche Trump, il cattivone dittatore, in realtà è un dittatore con armi proprio deboli se bastano alcuni giorni di attacchi speculativi per farlo rientrare su tutta la linea.” 

ANNA LISA MAUGERI: I BRICS recentemente si sono molto rafforzati, ma potrebbero realmente mettere in pericolo il dollaro? Potrebbe addirittura essere il segnale della fine della globalizzazione unipolare? 

GABRIELE GUZZI: “Quando parliamo dei BRICS, parliamo in realtà di una cosa molto meno chiara di quella che potremmo immaginare, perché all'interno dei BRICS ci sono delle contraddizioni molto forti e non parliamo di un'alleanza militare, geopolitica, molto forte in realtà. Ci stanno dentro la Cina e l'India che sono nemici storici, ad esempio. Più interessante è la Cina, che effettivamente ad oggi ha superato gli Stati Uniti praticamente su tutti gli aspetti, economici, anche militari, spendendo praticamente un quinto. Gli analisti ci dicono che oggi l'esercito cinese è molto più potente di quello americano. Delle dieci università più produttive, cioè che pubblicano più articoli ad altissimo impatto nel mondo, sette sono cinesi. La Cina produce più ingegneri. Insomma, la Cina è stata veramente in grado, con tutte le contraddizioni, di superare gli Stati Uniti su tutti gli aspetti almeno visibili, materiali della vita collettiva. Questo pone un rischio per gli Stati Uniti? Sì, e per tante ragioni: per il predominio del dollaro, per il controllo dei mari, e quindi per il controllo della globalizzazione e per il controllo degli organismi internazionali. 

La Cina effettivamente non è diventato egemone almeno di fatto, non ancora su tutta la linea, perché appunto la globalizzazione è ancora una cosa in mano agli Stati Uniti. C'è un sorpasso che gli Stati Uniti temono molto. Il punto è: che tipo di globalizzazione ha in mente la Cina? Io onestamente ho molta resistenza ad affidarmi a padroni stranieri, cioè a dire viva la Cina o viva gli Stati Uniti. Io sono un italiano, sono un europeo e cerco di trovare un punto di contatto, un punto di mediazione e una nostra proposta, che dovrebbe essere indipendente sia dagli Stati Uniti e dalla Cina. 

La globalizzazione che ha in mente la Cina qual è? Certamente la Cina, almeno a parole, sembra voler portare avanti una globalizzazione che riconosce la sovranità e l'autodeterminazione degli Stati e dei popoli. Quindi sembra essere molto più filo ONU degli Stati Uniti. E questo è un po' un paradosso dei nostri tempi, cioè che il diritto internazionale, con tutti i limiti, che però è una creatura occidentale, viene difesa più dalla Cina che dagli Stati Uniti, che intanto dicono che vogliono conquistare la Groenlandia o che mostrano una logica di potenza molto più esplicita. La domanda è se questa fase di riconfigurazione porta in definitiva a un conflitto. 

Io onestamente vedo tutti i rischi e tutti i pericoli, ma penso comunque che lo scenario di una guerra, nonostante ce la stiano mettendo tutta, continui a rimanere uno scenario piuttosto improbabile. E questo anche perché gli Stati Uniti in realtà si rendono conto del fatto che una guerra con la Cina porterebbe alla loro autodistruzione o probabilmente ad una sconfitta.
Noi dovremmo invece lavorare in questa fase di transizione affinché questo mondo multipolare, multilaterale sia un passo avanti rispetto alla globalizzazione unipolare americana, che aveva tutti i limiti. Per cui il nostro modello dovrebbe essere quello dell'ONU, cioè di Stati autonomi, di Stati sovrani, almeno formalmente (e la formalità almeno è già qualcosa, come dice Lucio Caracciolo). Il diritto internazionale dovrebbe essere un parametro su cui uno può valutare le cose, tornando ad essere il faro.
E tra i fari fondamentali c'è il ripudio della guerra come principio di risoluzione dei conflitti e, quindi, della logica del più forte. Ecco, questo dovremmo sperare che diventi cultura popolare, cultura generale dei rapporti internazionali, che non ci sia più la logica del più forte e che non si osservino più queste stragi vergognose in varie parti del mondo, determinate principalmente proprio dal principio del più forte che decide cosa fare e stermina i civili pur di raggiungere qualsiasi obiettivo. Ecco, questo dovrebbe essere il salto di qualità che questa nuova globalizzazione dovrebbe riuscire a compiere.”

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