Quando l'Europa riconosce la Palestina - di Cristina Mirra

Pubblicato il 18 settembre 2025 alle ore 06:59

Cosa potrebbe significare il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell'Europa

Il riconoscimento della Palestina da parte dei Paesi europei è una questione da decenni smarrita e, fino a due anni fa, nei fatti considerata chiusa. Nel frattempo, la realtà l'ha riportata all'ordine del giorno: insediamenti illegali e violenti, occupazione militare, genocidio, vite spezzate. 

Eppure la domanda, a poche ore dall’approvazione del Parlamento Europeo di una risoluzione (non vincolante) con 305 voti a favore, 151 contrari e 122 astenuti, con la quale si chiede agli Stati membri di “valutare il riconoscimento dello Stato di Palestina” (il testo sostiene anche qualche misure contro Israele: sanzioni lievi, sospensione parziale dell’accordo bilaterale, azione contro coloni violenti), è questa: cosa cambierebbe davvero se l’Europa decidesse di riconoscere ufficialmente la Palestina come Stato? 

Il riconoscimento non è solo un gesto simbolico. Al momento, circa 140 Stati membri dell’ONU l’hanno già riconosciuta come Stato. In Europa, però, la mappa è divisa: alcuni Paesi (come Svezia, Spagna, Irlanda, Norvegia, Slovenia) hanno già fatto il passo, altri stanno per farlo (come per esempio la Francia), altri come l’Italia e la Germania dicono che (dopo settant’anni) è ancora presto e restano cauti. Il riconoscimento è un atto politico e giuridico: significa affermare che la Palestina esiste come Stato a tutti gli effetti, non come “autorità” o “territorio da negoziare”. Significa considerare che ha diritti sovrani e che un’eventuale presenza militare straniera diventa automaticamente occupazione di uno Stato riconosciuto, non più un conflitto da definire o un “contenzioso territoriale”. Ed è qui che si apre la questione più scomoda: questo riconoscimento, se mai avverrà, arriva con decenni di ritardo. Non è un dettaglio. I libri di storia un giorno diranno che se la diplomazia europea avesse avuto il coraggio di esercitare pressione sin dagli anni ’80 e ’90, quando l’ipotesi dei “due Stati” che si riconoscessero reciprocamente era discussa quotidianamente, probabilmente oggi non parleremmo di genocidio, né di una Palestina ridotta a frammenti di territorio sotto occupazione permanente.

In altre parole: riconoscere la Palestina trent’anni fa non avrebbe risolto tutto, ma avrebbe reso più difficile per Israele portare avanti una politica di colonizzazione impunita. Un riconoscimento tempestivo avrebbe costretto l’Europa a prendere posizione e forse a frenare, con strumenti diplomatici ed economici, ciò che oggi appare come un disastro umanitario e politico. Oggi, invece, la decisione di riconoscere non nasce da una visione lungimirante, ma dalla pressione dell’opinione pubblica europea e mondiale, sconvolta dalle immagini e dalle cronache di un genocidio che avviene in diretta, sotto gli occhi di tutti. È come se l’Europa, rimasta per anni paralizzata (termine utilizzato qualche giorno fa dalla stessa von der Leyen) dall’ambiguità, si fosse mossa solo quando l’urgenza morale è diventata insostenibile. Con un riconoscimento europeo, Israele si troverebbe di fronte a un dato giuridico innegabile: i Territori palestinesi non sarebbero più presentati come “da discutere”, ma come territorio di uno Stato sovrano riconosciuto. In questo caso l’occupazione militare verrebbe considerata illecita secondo la Carta ONU e le Convenzioni di Ginevra.

L’Europa avrebbe più strumenti per agire: sanzioni, sospensione di accordi commerciali (pensiamo agli accordi di associazione tra Israele e singoli Paesi europei o l’UE come blocco economico), sostegno più forte alle iniziative della Palestina davanti alla Corte Penale Internazionale. L’occupazione diverrebbe un fatto non solo politico, ma giuridico, aprendo la strada a nuove forme di responsabilità internazionale. 

E’ importante anche chiarire cosa può (e non può) fare l’Unione Europea Dal punto di vista tecnico-giuridico il riconoscimento di uno Stato è una prerogativa dei singoli Stati, non delle istituzioni europee. Ogni governo nazionale (Italia, Francia, Germania, ecc.) decide in autonomia. 

L’Unione Europea nel suo insieme non ha la competenza formale per “riconoscere” la Palestina come Stato. Può però adottare una posizione comune, stringere accordi bilaterali, e inserire la Palestina come interlocutore politico a pieno titolo. Il Parlamento Europeo ha votato più volte risoluzioni a favore del riconoscimento della Palestina. Si tratta però di atti politici non vincolanti: servono a fare pressione sui governi e sul Consiglio dell’UE, ma non producono effetti giuridici diretti. Per questo, parlare di “riconoscimento da parte dell’Europa” è corretto come sintesi politica, mentre “riconoscimento da parte della UE” rischia di essere fuorviante. In realtà, sono i Paesi europei a dover compiere questo passo. 

A questo punto dovremmo immaginarci l’Europa con 27 Stati, 27 interessi e prospettive differenti. L’Unione Europea non ha un esercito proprio (la “difesa comune” è ancora più fantasma che progetto), quindi un intervento militare non è realistico. Ma i Paesi europei, in accordo con la morale che dovrebbero avere, avrebbero altre carte: diplomatiche (dichiarazioni ufficiali, riconoscimento nei consessi internazionali, rottura della narrativa dell’“ambiguità”); economiche (l’Europa, considerata nel suo insieme, è il primo partner commerciale di Israele e mettere in discussione questo rapporto sarebbe molto più che simbolico) e giuridiche (sostegno attivo ai procedimenti in sede internazionale). È probabile però, che i governi europei opterebbero per il solito passo felpato: molta retorica, qualche condanna, sanzioni solo in caso di escalation clamorosa. L’Europa ama i principi, ma di solito li utilizza opportunisticamente, quando conviene nella visione atlantista. 

Certo, ci sarebbe un paradosso. La Palestina diventerebbe ufficialmente uno Stato riconosciuto, e allo stesso tempo uno Stato occupato. Sarebbe un riconoscimento che porta con sé un’accusa implicita: se c’è uno Stato palestinese riconosciuto, allora Israele lo sta occupando. Forse proprio per questo l’Europa continua a rimandare, preferendo la comfort zone dell’ambiguità. Riconoscere significherebbe smettere di girarsi dall’altra parte.

Il riconoscimento europeo della Palestina non sarebbe la fine del conflitto, ma un cambio di cornice: da “questione negoziabile” a “questione di diritto internazionale”. Arriva, però, con un ritardo colpevole. Forse avrebbe potuto fermare in tempo la catastrofe, se fosse avvenuto prima, tanto prima. E di questo l’Europa è complice di Israele per aver fatto credere ai suoi governanti che tutto gli fosse concesso, che l’impunità sarebbe stata totale e per sempre. Gli Stati Uniti, c’è da dire, ancora glielo fanno credere buttando il governo di Israele, nei fatti, in un burrone. Ora, invece, appare all’Europa come una scelta obbligata, dettata dalla pressione dei popoli europei davanti a un genocidio che non si può più ignorare. 

Ed è proprio questo il punto: sono i popoli a dettare oggi l’agenda e a cambiare la linea atlantista dei governi che per decenni hanno convissuto conniventi con la politica di Israele? Milioni di persone sono scese in piazza in tutta Europa negli ultimi due anni contro il genocidio e per il riconoscimento della Palestina, e questa mobilitazione popolare sembra scrivere già una pagina nuova nella storia del continente europeo.

 

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