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Un editoriale può alimentare odio e ostilità nella società? E se la risposta è sì, l’Ordine dei giornalisti ha il dovere di intervenire?
Me lo sono chiesta spesso in questi anni, ed è una domanda che oggi più che mai esige risposte, soprattutto dopo la pubblicazione dell’articolo a firma di Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, dal titolo “L'escalation della Russia fa paura, quella dei suoi utili idioti ancora di più. Come riconoscerli”.
Il mondo dell’informazione manifesta sempre più i sintomi dell’intolleranza e della discriminazione, ed entrambe le manifestazioni si scontrano con i principi della Costituzione Italiana che garantisce la libertà di pensiero e di parola tramite l'articolo 21.
Il codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti parla chiaro in merito alle regole a cui attenersi, soprattutto in materia di rispetto dei diritti fondamentali delle persone. L’Articolo 5 del codice specifica che il giornalista ha il dovere di raccogliere, elaborare e diffondere “con la maggiore accuratezza possibile ogni elemento di pubblico interesse, nel rispetto della dignità delle persone e del principio di essenzialità dell’informazione”.
L’Articolo 8 sancisce che “la/il giornalista rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia”.
Quali sono i diritti fondamentali delle persone?
Li elenchiamo tutti: il diritto alla vita e alla salute, le libertà individuali e collettive (come libertà personale, di pensiero, di riunione, di associazione, di religione e di circolazione), i diritti sociali (come diritto all'istruzione, al lavoro e alla salute), il diritto all'uguaglianza e al rispetto della dignità umana, nonché il diritto a un giusto processo e alla difesa.
La stampa può ledere alcuni di questi diritti, come la libertà di pensiero e di parola? La pubblicazione di un articolo con le istruzioni per “riconoscere” quello che Cerasa definisce un filoputiniano sembrerebbe andare in questa direzione. Ma un articolo del genere rientra nella fattispecie di istigazione all’odio?
I contenuti dell’editoriale di Cerasa
L’articolo in questione non discute idee, non analizza dati, ma fornisce una serie di indicazioni su come riconoscere una persona con determinate opinioni su questioni politiche e di attualità. Screditare la reputazione dell’interlocutore è semplice: basta che egli esprima un’opinione differente rispetto a quella del direttore per essere etichettato come filoputiniano.
Se ad una serie di domande l’interlocutore risponde con determinate affermazioni o controdomande, il gioco è fatto! Hai di fronte il nemico.
In questo modo si costrusce un’identità collettiva del “nemico interno”, una categoria generica e indefinita in cui però far confluire chiunque esprima dubbi, perplessità o critiche sulla strategia occidentale. Parlare di “utili idioti”, “cretinismo” o “cialtronismo” è un modo falsamente ironico di invalidare la dignità e la legittimità di chi dissente. E questo, da un punto di vista deontologico, dovrebbe essere un problema.
Nel dibattito sul conflitto russo-ucraino i toni si sono fatti sempre più accesi. Ma c’è una linea oltre la quale la polemica smette di essere un contributo al confronto democratico e diventa qualcosa di diverso: una forma di aggressione verbale, di delegittimazione del dissenso, di polarizzazione che non chiarisce, ma divide.
Fare equivalere ogni dubbio sulla politica occidentale ad una simpatia per il Cremlino è un errore grave e fuorviante. Tutto ciò sembrerebbe essere un chiaro ammonimento: il dissenso è bandito. Chi non è perfettamente allineato alla lettura proposta dall’autore viene implicitamente indicato come una minaccia, un infiltrato, qualcuno da “smascherare” persino nelle cene di Natale. Prevale, così, la logica del sospetto con un linguaggio aggressivo, divisivo che alimenta l’ostilità sociale.
Per comprendere quanto pericoloso e antidemocratico sia veicolare questo genere di messaggio ai lettori basterebbe sostituire “filoputiniano” con ebreo, musulmano, o con qualsiasi altra categoria di persone, che si tratti di etnie o gruppi sociali. È un invito che abbiamo già sentito fare in tempi recenti, quello di “smascherare” persone a tavola, tra amici, nei contesti quotidiani; cambiano le motivazioni, ma non la volgarità e la violenza di una tale proposta.
Il dibattito geopolitico è svuotato così della sua complessità e ridotto ad una sorta di caccia all’eretico, con tanto di invito ai cittadini alla sorveglianza sociale. Tutto questo non ha nulla a che fare con l’informazione o con l’analisi.
Il codice deontologico dell’Ordine dei Giornalisti chiede due cose fondamentali: il rispetto della dignità delle persone, un linguaggio sobrio e non discriminatorio. La pubblicazione di articoli che incitano all'odio può comportare sanzioni disciplinari dall'Ordine, ma in questo caso interverrà?
Al di là di questo aspetto, resto dell’idea che un editoriale possa essere duro, polemico, opinabile, ma che non dovrebbe mai trasformarsi in una delegittimazione di chi non condivide un’unica linea politica. Teniamo sempre a mente che la democrazia non ha mai paura del confronto.
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